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L’amore omosessuale: una (non) questione?

In questi giorni mi è capitato di dover affrontare con amici ed ex studenti l’argomento del responsum del 15 marzo scorso della Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF) circa un dubium posto sulla liceità delle benedizioni alle coppie omosessuali. Come spesso avviene mi sono dovuto barcamenare tra due schieramenti opposti, ognuno issante la propria assoluta bandiera, al punto da trasformare il dibattito soltanto in uno sterile talk show.

Secondo la CDF, non è lecito benedire relazioni, anche quando queste sono stabili, «che implicano una prassi sessuale fuori dal matrimonio (vale a dire, fuori dell’unione indissolubile di un uomo e una donna aperta di per sé alla trasmissione della vita), come è il caso delle unioni fra persone dello stesso sesso». Infatti, si legge, sebbene si possano rilevare elementi positivi da apprezzare e valorizzare, questo non è comunque sufficiente per rendere oneste tali unioni – e quindi legittimarle – «poiché tali elementi si trovano al servizio di una unione non ordinata al disegno del Creatore». Una benedizione non volta al singolo ma alla coppia, sarebbe come riconoscere tale unione: in altre parole «manifesterebbe l’intenzione non di affidare alla protezione e all’aiuto di Dio alcune singole persone […] ma di approvare e incoraggiare una scelta ed una prassi di vita che non possono essere riconosciute come oggettivamente ordinate ai disegni rivelati di Dio». La Chiesa, quindi, «non benedice né può benedire il peccato: benedice l’uomo peccatore, affinché riconosca di essere parte del suo disegno d’amore e si lasci cambiare da Lui».

Una questione?

Fin qui il testo del Responsum, che pare restare ancorato e dare per scontato che ci sia una questione morale circa l’omosessualità. Ma è così? È vero che il documento distingue tra persone e unioni; ma è sufficiente? L’unione è di per sé negativa e sicuramente contraria al progetto e alla volontà di Dio?

Partiamo dal presupposto – verosimilmente condiviso con la CDF – che dovremmo essere innanzitutto capaci di distinguere agente e azione; non dovremmo, cioè, cadere nell’ingenuità di scambiare o confondere i due piani e lasciarci commuovere dalle intenzioni (sempre indiscutibili) di chi compie le azioni. Verso le persone (che sono più o meno buone) misericordia, senza per questo rinunciare al piano della giustizia nelle azioni (che non sono più o meno giuste ma o giuste o sbagliate). Sulla base di questo si giudicherà un’azione. Questo presupposto è necessario per evitare di lasciarsi commuovere dalle persone e le loro sofferenze, sempre valide e mai veramente giudicabili moralmente.

Ma se non facciamo l’errore di confondere l’emotività con la causa genetica della norma morale, l’omosessualità resta un’azione moralmente illecita – o quanto meno moralmente disordinata? Su questo, secondo me, permane qualche perplessità. Dovremmo, infatti, chiederci: un omosessuale sceglie la propria condizione? Perché è nelle scelte che si sedimenta la moralità. Se io, quindi, non scelgo, ma scopro qualcosa, non avrò nulla per cui essere imputato.

Ecco il punto: se è vero – stando ai dati di cui siamo attualmente in possesso – che l’orientamento omosessuale non è frutto di una scelta consapevole del soggetto, ma è una scoperta come lo è l’eterosessualità, nell’amore tra gay che non scelgono dov’è l’ingiustizia, l’illiceità? Non si tratta, allora, di riconoscere misericordia, compassione, accoglienza a chi ha difficoltà a rispettare una norma, ma di chiederci: siamo sicuri che stia violando una norma? Qual è il nostro riferimento? È forse la Bibbia? Ma la Bibbia non è un prontuario morale. Non dimentichiamo mai che non troviamo argomenti all’interno del Testo Sacro e che Paolo mai ci dice perché ciò che addita come empio lo sia; ad esempio mai condanna la schiavitù, eppure noi oggi non ci sogneremmo minimamente di avallarla. Questo iato è comprensibile alla luce del fatto che è semplicemente immerso nel suo tempo!

Oltre la miopia: omosessualità o sessualità?

Lo ribadisco: se guardassimo – in modo miope – soltanto alla sofferenza delle persone e basta, allora tutto rischierebbe di divenire legittimo. Ma se non facciamo gli ingenui e andiamo oltre, la riflessione si può fare. Ed io non riesco a vedere e trovare una questione etica qui.

Capisco la rigida coerenza interna del Magistero, ma forse qualcosa non torna più. Capisco la paura di aprire una maglia, ma forse qualcosa non funziona più. Però ritengo anche che la questione non sia tanto la omo-sessualità, quanto la sessualità tout-court. A tal proposito scrive Andrea Grillo:

«Dietro la questione della omosessualità, sta una questione più grande, ossia la questione generale della sessualità. In altri termini il vero problema non è la variante “omo” della sessualità, ma la sessualità “tout-court”. La omosessualità può apparire “disordinata” perché la eterosessualità viene pensata come “ordinata” solo se riferita alla generazione. Ma è questa una visione del tutto accettabile? Ovviamente non affermo che ciò non abbia fondamento, ma mi chiedo se sia davvero così esclusiva. Per andare ancora più avanti, mi chiedo: che l’esercizio della sessualità non sia “peccato” solo all’interno del matrimonio è davvero la risposta evangelica alla scoperta della sessualità, diversa dal semplice “sesso”? Non vi è, in tutto ciò, una indebita sovrapposizione tra natura, cultura e vangelo? Provo a elaborare in forma iniziale, come semplici spunti di riflessione, queste diverse questioni, cercando di mostrare la esigenza di una accurata elaborazione di nuove categorie, senza le quali la dottrina cattolica rischia di essere soltanto una “difesa” di principi sacrosanti, ma con strumenti teorici e operativi non più adeguati. Per difendere la tradizione, infatti, i “talenti” non possono essere “sepolti sotto terra”, ma devono essere impiegati con coraggio e con pazienza, nel dialogo culturale di oggi, non più soltanto nella cultura di Agostino, di S. Tommaso d’Aquino, di Lutero o del Cardinal Gasparri».

E allora?

Come io, eterosessuale, non saprei amare se non una donna, credo che l’omosessuale non saprebbe amare se non un altro dello stesso sesso. Perché una coppia omosessuale dovrebbe essere un progetto manchevole? Perché la prole dovrebbe essere misura della realizzazione di un progetto? È qui l’errore secondo me. Ci possono essere tante forme di fecondità. È chiaro che il problema è sempre la natura. Ma l’argomento naturale è miseramente fallace.

In un panorama di religiosità dove viene benedetta qualunque cosa e dove nelle unioni lecite la benedizione di certo non sottostà ad un controllo della condotta morale, va evidenziato come questa situazione sia la conseguenza di una visione – quella sulla sessualità – che è miope. La Chiesa è Madre e Maestra, è vero. Ma magari è possibile riflettere sulla questione e su questa miopia. Chi ci dice che l’omosessualità sia veramente fuori dal progetto di Dio? Se non scelgono sono fuori perché? Il loro amore è fuori perché? Per soffrire? Saremmo davanti un Dio sadico. Impossibile. E allora perché?

Filippo Arena

Laurea Magistrale in Scienze Religiose. Master in Bioetica. Docente di Religione. Cultore di Scienze Morali.

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