skip to Main Content

Una nuova pastorale? Gli Itinerari catecumenali per la vita matrimoniale/1

Gli Itinerari

Pubblicati a giugno, gli Itinerari catecumenali per la vita matrimoniale (ICM) sono l’ultimo documento ecclesiale ad occuparsi di matrimonio. Nati sulla scia di Amoris Laetitia (AL) – di cui vogliono rendere concreto il messaggio – e dall’invito più volte espresso da papa Francesco ad una cura maggiore degli sposi che si preparano al Matrimonio, consistono nella proposta di un percorso ampio ed ispirato al catecumenato battesimale «che permetta loro di vivere più consapevolmente il sacramento del matrimonio, a partire da un’esperienza di fede e di incontro con Gesù» (ICM 1).

Secondo il documento, all’origine di molte difficoltà delle famiglie vi sarebbe una crisi del matrimonio, segnato da una «mentalità edonista che distorce la bellezza e la profondità della sessualità umana», dall’autoreferenzialità a scapito degli impegni della vita matrimoniale, da una limitata comprensione del dono del sacramento nuziale (ICM 3). L’idea di base è proporre una formazione alla fede e un accompagnamento per l’acquisizione di uno stile di vita cristiano con una modalità analoga al catecumenato battesimale della Chiesa antica

È, allora, l’incontro con Cristo ad essere fondamentale: la sua scoperta o la sua riscoperta; questo non può che essere un compito della Chiesa: come prepara al meglio i sacerdoti e i religiosi dedicando lunghi anni di formazione, allo stesso modo deve preparare i laici che si sentono chiamati alla vocazione matrimoniale aiutandoli a perseverare in essa per tutta la vita (cf. ICM 7).

Il primo passo per un rinnovamento del genere deve essere il sottolineare la dimensione religiosa del sacramento del matrimonio, sicuramente superiore ad un semplice fatto di costume (cf. ICM 9), e l’impostazione di un percorso che sia continuo, non episodico, prolungato nel tempo, permanente (cf. ICM 14). Per fare questo bisogna rivedere tutte le fasi di accompagnamento umano della Chiesa, superando il problema dei lunghi periodi di abbandono pastorale in intere fasi della vita che causano allontanamento dalla comunità e dalla fede: «Si pensi, ad esempio, ai genitori dopo la catechesi per il Battesimo dei figli oppure ai bambini dopo la prima Comunione» (ICM 15). D’altro canto, si potrebbe obiettare al Dicastero anche il problema opposto, cioè l’effetto della burocratizzazione per cui anche chi ha un cammino di fede e frequenta percorsi pastorali si trova a dover frequentare incontri preparatori ai sacramenti – penso in particolare proprio ai corsi prematrimoniali o all’incontro prima del battesimo dei figli – spesso mortificanti sia per chi vi partecipa che per l’idea che il documento propone di cammino.

Ad ogni modo, uno dei requisiti da tenere in considerazione per una proposta concreta di itinerario è «che, pur partendo dall’esperienza concreta dell’amore umano, siano messe al centro della preparazione al matrimonio la fede e l’incontro con Cristo.

Il matrimonio tra natura e grazia

Da questa brevissima presentazione appare già evidente la tensione tra istituto eminentemente umano del matrimonio, con la sua pregnanza e carica valoriale, e la dimensione sacramentale, dovuta all’esperienza di fede. A quale delle due dare preminenza? A quale fare riferimento? Da quale partire?

Una notazione da cui iniziare per tale riflessione è che il matrimonio, come scrive Andrea Grillo, ha una collocazione estrema: se da un lato dice unione e unità, dall’altro mette alla prova ogni rapporto e progetto come niente riesce a fare; anche il rapporto tra natura e grazia è qui speciale:

«Nel matrimonio la natura è grazia e la grazia si riconosce natura. Ma la natura può imporsi sulla grazia e la grazia può distrarsi dalla natura. Di questo sono coscienti tutti gli scolastici, che ricordano come solo il matrimonio preceda la caduta del peccato, e perciò sia nato solo “per il dovere”, non “per la salvezza”. Mentre poi può essere invocato per la salvezza, ma in una certa tensione costitutiva con il dovere!» (Ib.).

Ora, se il matrimonio ha questa particolare connotazione, se è sì sacramento, ma soprattutto istituto umano, bisognerà tenere in considerazione altri elementi, forse non debitamente vagliati dagli Itinerari. Ad esempio, la gestione della sessualità, di per sé più che semplice espressione istintuale come negli altri animali, ma realtà integrata nella natura umana, interpretata dalla natura umana, e che quindi non può che essere segnata dalla relazione con l’altro/Altro. Del resto, se guardiamo alla generazione – ma questo vale anche per la relazione di coppia – è evidente come nell’uomo, al contrario di altre specie, le relazioni abbiano bisogno di tempo, cura, presenza:

«Nell’uomo è ragionevole, e conforme alla sua natura, interpretare la generazione in modo responsabile, sia assumendola, sia sospendendola, sia spostandola sul piano spirituale. Questa libertà, rispetto al generare, è tipica solo dell’uomo, della donna e di Dio» (ib.).

E ancora: se da un lato il documento sottolinea i pericoli dovuti alla società contemporanea (cf. ICM 30; AL 280), non andrebbe dimenticato che la modernità ha liberato la sessualità dalla sua esclusiva destinazione generativa facendola diventare esperienza, espressione di maschile e femminile: non considerare questo significherebbe ignorare anche i numerosi elementi della tradizione biblica che in tal senso convergono.

Inoltre, assimilare il matrimonio al battesimo – si tratta di un cammino catecumenale – e all’ordine – più volte è ribadito che la medesima attenzione per i seminaristi dovrebbe essere data anche per la vocazione matrimoniale – significherebbe ignorare quella dimensione naturale e civile che fa parte del matrimonio.

Bisognerebbe, invece, sottolineare come sposarsi in Cristo sia diverso dal far registrare l’atto al parroco e come il matrimonio sia diverso rispetto agli altri sacramenti e, per certi versi, irriducibile alla logica ecclesiale: sta sia dentro che fuori la Chiesa; è costituito sì dalla logica della fede, ma questa non è determinante in quanto il desiderio naturale e il legame civile ne costituiscono l’ossatura fondamentale. Allora, una preparazione al matrimonio non può essere solo preparazione all’atto ma deve essere «il costituirsi di relazioni profonde e nuove tra il vissuto del desiderio naturale, lo strutturarsi del legame sociale e la rilettura “per grazia” del primo come del secondo. Se il “percorso” viene letto con gli occhiali tridentini, è negato prima ancora di essere assunto e viene pensato e modulato con una sorta di “ibrido” tra “iniziazione cristiana” e “formazione di seminario”. Gli sposi cristiani non possono essere ridotti a catecumeni mancati o seminaristi potenziali» (ib.).

Il punto è che i cristiani si sposano come gli altri; come scrivono Andrea Grillo e Antonello Siracusa, il matrimonio – e la sua preparazione – è anche un cammino di fede, ma non esclusivamente: è natura elevata a fede, non fede che fonda la natura. Avere questa consapevolezza, ci aiuterebbe ad «uscire dalla prima delle difficoltà. Ossia dalla attuale “sovraesposizione” della fede nella comprensione del matrimonio. Questo non è affatto tradizionale. Perché, semmai, il matrimonio riposa su evidenze naturali e civili, che poi la fede rielabora» (ib.). E infatti, a pensarci bene, chi chiede oggi il sacramento del matrimonio non deve esibire la fede, ma il battesimo! «Così, in un certo senso, chi di burocrazia colpisce, di burocrazia perisce» (ib.).

Sposarsi in Cristo è sicuramente decisivo nella nostra prospettiva di cristiani, ma questo non può essere come essere seminaristi o chiamati alla vita religiosa, in quanto si perderebbe il carattere qualificante della natura e finirebbe per clericalizzarlo; dobbiamo constatare, però, che ciò che riguarda la famiglia nell’analisi ecclesiale è ancora spesso dipendente dai modelli celibatari dell’ordine e della vita religiosa.

Questa, infatti, è la conseguenza dell’eccessiva accentuazione del carattere sacramentale – e canonico – del matrimonio, a discapito di quello umano, naturale, civile. È la logica dello scegliere le cose sulla base del è giusto perché Dio lo vuole e non del Dio lo vuole perché è giusto. Ma è ancora possibile dialogare con il mondo senza questo cambio di prospettiva e di paradigma?

Filippo Arena

Laurea Magistrale in Scienze Religiose. Master in Bioetica. Docente di Religione. Cultore di Scienze Morali.

Back To Top
No announcement available or all announcement expired.
Questo sito utilizza cookie per il suo funzionamento, anche di “terze parti”. Chiudendo il messaggio o navigando regolarmente dai il tuo consenso. Per conoscerne il funzionamento e bloccarli è possibile visualizzare l'informativa estesa cliccando sul link di seguito
Informativa sui cookies
Ok