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L’etica teologica della vita. Un dialogo aperto

Si è svolto sabato 4 marzo, nella cornice dello Studio Teologico «San Paolo» di Catania, l’incontro promosso dalla sezione Sicilia dell’ATISM per dibattere sull’ultima pubblicazione della Pontificia Accademia per la vita, ossia Etica teologica della vita. Scrittura, tradizione, sfide pratiche edito dalla Libreria Editrice Vaticana a cura di mons. Paglia e che raccoglie gli atti di un seminario interdisciplinare di studio promosso dalla stessa Accademia. Tra i relatori, Pier Davide Guenzi, presidente ATISM, Gianni Russo, direttore dell’Istituto Teologico «San Tommaso» di Messina, Maurizio Chiodi della Pontificia Accademia per la vita, Salvino Leone, vicepresidente ATISM e presidente del nostro Istituto di Studi Bioetici, Antonio Sapuppo, direttore dell’ospitante Studio Teologico «San Paolo» e Pietro Cognato, delegato ATISM Sicilia.

La prima sessione, aperta dal saluto di mons. Renna, arcivescovo di Catania e moderata dal segretario nazionale ATISM Alessandro Rovello, ha concentrato le sue attenzioni sul piano metodologico del documento.

Pier Davide Guenzi ha messo in evidenza l’intento interdisciplinare e transdisciplinare del lavoro del seminario al fine di ripensare una nuova bioetica cristiana; ripercorrendo la Veritatis Gaudium di papa Francesco, documento che ha rivisto la Sapientia Christiana del 1979, ha sottolineato come per il rilancio degli studi ecclesiastici sia necessario abitare la pluralità delle culture, superando così l’antica idea di una frattura tra la fede e la cultura: non ci sarebbe una ragione armonizzatrice del tutto, ma una dinamica di relazione da tenere in debita considerazione e, quindi, solo una buona teologia cristiana – e non una che dispensa risposte senza percorrere la via dell’umano, dell’imparare – e solo una buona scienza – una non ideologica – possono contribuire a significare davvero le vite delle persone; questo è messo ben in evidenza dal Testo base (TB) dell’opera in esame, che al numero 11 indica il ripensamento  di tutta l’impostazione della riflessione riguardo l’esperienza della vita come via maestra e non solo il ripensamento dei singoli argomenti; questo significa che non basta una multidisciplinarità, non basta una iperdisciplinarità, ma urge far comunicare tra loro i saperi che hanno confini sempre più labili e porosi – anche tra i saperi della stessa teologia – operando una mutua integrazione delle discipline con la consapevolezza della parzialità e indispensabilità del contributo di ciascuna materia.

Sulla scorta del teologo di Novara, Giovanni Russo ha enucleato tre tematiche ispirate dal sottotitolo del testo: Scrittura, magistero e coscienza. Questi tre nuclei – ha precisato – non vanno, però, intesi come isole, ma in un rapporto circolare. Sul primo tema, ci ha ricordato come la Scrittura non sia un manuale etico anche se spesso è usata come norma etica diretta; ciò significa che benché bussola e compagna di viaggio, non si può mai trascurare come il mondo della bibbia sia molto distante dal nostro e una sua applicazione etica diretta potrebbe significare l’anacronismo: in sostanza, le norme bibliche sono norme etiche senza tempo? Abbiamo chiaro che la Scrittura, oltre al divario culturale che ci separa, non ci presenta una storia modello totale di esemplarità? Ora, se nella comunità il magistero ha un ruolo centrale e conferma una fede in cammino culturalmente e storicamente, allora deve essere aderente alla Scrittura ma anche al sensus fidei e ai segni dei tempi. Russo, passa così al secondo nucleo, quello del magistero, evidenziando la necessità di un contatto continuo con la teologia e la ricerca; a questo punto, una variegata disamina del magistero moderno nell’ambito della vita fanno da apripista alla riflessione sulla coscienza: infatti, il focus sull’etica della vita può essere un modo per riflettere su tutta l’etica teologica che, nella modernità, a causa di un razionalismo astratto e di un fisicismo naturalista, ha finito per trasformare la coscienza in una mera facoltà di giudizio e ha dato la spinta a un forte riduzionismo normativo attento solo al particolare. Si dà così il via al terzo nucleo; il teologo salesiano puntualizza che è necessario chiarire il senso della coscienza, del discernimento, delle norme: la coscienza è tesa a ricercare norme oggettive e universali, ma il rapporto tra norme e coscienza deve essere sempre dialettico; le norme morali vengono dalla storia delle comunità – che non è affatto monolitica ma storicamente e culturalmente segnata – e hanno sedimentazioni storiche e, quindi, la comprensione del bene e del male richiede pazienza storica: il tempo renderà conto poi delle questioni morali (lampante in tal senso è la questione della schiavitù). Non si può, però, ridurre tutto solo alla coscienza: la legge è necessaria affinché tutto non sia ricondotto solo alla soggettività, per superarla e risvegliare la coscienza al bene da compiere, al veramente umano; la singolarità delle situazioni dell’uomo è però tale che da sola non è sufficiente ed è la coscienza del soggetto che può formulare la norma immediata dell’azione. Secondo Russo, dunque, la legge è generale e non abbraccia le situazioni particolari e, a volte, l’indicazione della norma è insufficiente vista la molteplicità delle circostanze: per uscire dall’impasse bisogna trovare il bene possibile, perché la vita morale è un cammino e necessita di trovare le strade possibili anche attraverso i limiti delle contingenze. A tal proposito, vorrei aggiungere che ritengo che quanto fin qui detto possa trovare una soluzione nella pista morale teleologica che, guardando ai fini delle azioni e sobbarcandosi del conflitto valoriale, giudica le azioni e arriva a formulare norme morali che tengono in debita considerazioni le contingenze; questo, però, è ben distante da un situazionismo che odora di soggettivismo e di relativismo: infatti, a situazione uguale si applica norma uguale in quanto si valutano solo gli elementi moralmente rilevanti dell’azione che modificano le situazioni e mai, ad esempio, alle intenzioni che spingono gli agenti, cioè all’atteggiamento. A conclusione dell’intervento, Russo aggiunge una considerazione globale sul testo: il volume guarda alle trasformazioni etiche in corso, è coraggioso, apre una strada sinodale, è attento alla cultura, alla storia, all’antropologia teologico-magisteriale, ma non deve essere considerato esaustivo.

A questo punto, a conclusione della sessione mattutina, si apre un dibattito che coinvolge gran parte dei presenti; tra i pungoli emersi, segnaliamo che il testo avrebbe come intento il confronto tra teologi e, come tale, farebbe affiorare proprio il disaccordo tra i moralisti; ancora, si è messo in evidenza come il magistero tenti di dare risposte definitive ad un mondo che muta continuamente, mentre, forse, bisognerebbe dare risposte che accompagnino le comunità a seguito di un dialogo discreto; infine, bisognerebbe pensare la coscienza come cifra fondamentale dell’umano e superare l’antropologia delle facoltà.

Dopo il pranzo, la sessione pomeridiana, moderata dal direttore dell’ISSR «San Metodio» di Siracusa Salvatore Spataro, si è occupata delle questioni più pratiche legate alle domande etiche e si è aperta con l’intervento di Maurizio Chiodi riguardo al dono della vita. Il teologo, esponente della cosiddetta scuola milanese, in una prima fase del suo intervento ha ripreso il TB sottolineando come affronti le questioni concrete senza per questo cadere nella casistica e soffermandosi sulla questione antropologica; il testo, lancia una sfida: questi temi sono un banco di prova significativo per i cristiani a prescindere dalla cultura a cui questi appartengano, una sfida a cui non ci si può sottrarre. Inoltre, il TB tratta di questione inerenti all’etica della vita ma fa delle incursioni sulla morale fondamentale: come si potrebbe parlare delle questioni specifiche preludendo dalle questioni della fondamentale? Il testo è, allora, l’inizio di un confronto teologico, non la fine e se qualche vescovo sostiene che questo possa creare confusioni nel popolo di Dio, significa che non ha tenuto bene in considerazione come sia solo l’inizio di una interlocuzione e non intenda proporre un pensiero unico sostitutivo del precedente; in tal senso, secondo Chiodi, si tratta di un’opera pioneristica: veniamo da una stagione della teologia morale in cui non si poteva discutere e ora, dopo 35 anni, si può pubblicare un testo che non sarebbe mai uscito in passato. Nella seconda parte dell’intervento, invece, il teologo di Bergamo riprende il suo contributo presente all’interno dell’opera dove si evidenzia un richiamo ad alcune grandi questioni teoriche intorno al tema della natura al fine di raccogliere e reinterpretare (e non di rigettare completamente) questa istanza avendo chiaro che il termine ha una equivocità insita nel fatto che con un solo termine ci si possa riferire ad accezioni e significati diversi tra loro. Vista questa polisemanticità, l’appello al naturale sarebbe equivoco: quale natura? E la legge naturale corrisponde alla Torah? L’istanza del TB è quindi quella di ripensare la natura e pensare la totalità a partire dal sé perché la coscienza è di più di una semplice facoltà di giudizio, ma andrebbe ripensata superando il dualismo oggettivo/soggettivo, norma/agente. Occorrerebbe, inoltre, superare l’alternativa tra artificiale e naturale tipica delle questioni legate al generare e il superamento di tale contrapposizione non può che essere affidato alla saggezza della coppia che analizzerà le possibilità escludendo, ça va sans dire, quelle abortive.

Incredibilmente, allora, anche se forse Chiodi non sarebbe d’accordo sul termine, è proprio l’approccio teleologico a segnare la via di una possibile soluzione.

Dopo i temi del generare, si passa al mistero della morte. A parlare è adesso Salvino Leone che inizia da una nota magisteriale: i cardini dell’etica normativa della morte si trovano già in Iura et bona del 1980 e si ritrovano nel TB e negli interventi del libro solo con qualche timida apertura. Ma cos’è la morte? Un discorso etico serio non può, infatti, non considerare in prima battuta i dati provenienti dalle scienze; la morte sarebbe, allora, la morte di tutto il cervello – sia la corteccia, parte nobile, sia il tronco, che si occupa degli automatismi – in quanto le due parti vanno di pari passo; la divisione che operiamo tra tronco e corteccia è una divisione recente anche dal punto di vista concettuale e consiste in una divisione che dissocia biologia e biografia. Come affrontiamo questa separazione? Come la conciliamo? Cosa prevale tra la biografia e la biologia? Davanti a che tipo di natura siamo? Il tentativo è quello di passare dal biologico al personale: la morte non è la fine del tutto, non è la fine di tutto l’individuo, ma dell’individuo nel tutto. E dopo la morte? Escludendo le cosiddette esperienze di premorte, altri dati ci provengono dai vangeli, dove, però, la questione è affrontata in modo parabolico e non reale. Il mistero resta. È quantomai necessario, quindi, suggerire un nuovo paradigma di teologia morale riguardo ai temi del morire e la prospettiva che si vuole offrire va a braccetto con quella offerta per i temi del generare: se la vita è un dono, la morte come deve essere vista? Nella prospettiva tradizionale, Dio ci dona la vita e poi se la riprende; ma questa è un’idea di dono decisamente povera! E se Dio prima ci donasse la vita e poi ci donasse la morte? Così come non mi devo opporre al dono della vita, non dovrei oppormi al dono della morte. Certamente ci troviamo di fronte a spunti che vanno approfonditi ma che già a primo acchito hanno un proprio valore. Ad esempio: come vedere l’accanimento terapeutico? Sarebbe un’opposizione al dono della morte? È, in ultima analisi, necessario, allora, un discernimento terminale: così come occorre – per dirla alla Montaigne – una donna saggia per entrare nel mondo (ostetrica in francese si dice sage-femme), ne occorre una ancora più saggia per uscirne. Il nodo cruciale resta quello tracciato ad Amoris Laetitia 3 e cioè la non necessità che ci si esprima su tutte le questioni con un atto del magistero.

L’ultimo intervento della sessione pomeridiana è affidata al direttore Antonio Sapuppo sul tema dell’etica della cura, riflessione in cui è stato eminentemente messa in evidenza la difficoltà ad esprimersi dinnanzi a questioni così drammatiche e la necessità di partire sempre dal dato della scienza, imprescindibile per quale riflessione etica, a maggior ragione per temi davanti ai quali spesso mancano le parole e anche il fiato.

Prima delle conclusioni, è il momento del dibattito; interessante la chiosa sull’Istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede Iura et bona in cui emerge già la possibilità del testamento biologico perché il paziente deve fare le scelte che ritiene più giuste, se è il caso anche anticipatamente; da dove, allora, il dibattito politico sul tema? Inoltre, si è messo in evidenza come spesso tutto il dibattito sull’eutanasia finisca per ridursi alle questioni delle sospensione delle cure o del rifiuto all’accanimento terapeutico e non, invece, al tema più strettamente eutanasico. Secondo Leone, per dare una più accorta valutazione bisognerebbe rivalutare e ripensare la dicotomia atto oggettivo/atto soggettivo perché la persona è una e la distinzione non sussiste nella concretezza dello scegliere.

Le conclusioni sono affidate a Pietro Cognato che ha tracciato un bilancio della giornata partendo da una provocazione: eravamo tutti d’accordo, abbiamo parlato di dialogo, di coscienza, situazioni, circostanze… ma poi nella concretezza delle questioni viene fuori il disaccordo. Il TB è stato presentato come una grande svolta; ma rispetto a cosa e/o a chi? Se la teologia morale è il magistero, allora è davvero il testo della svolta. Ma se cambiassimo dirimpettaio, se ci fossero etiche teologiche correnti, non ci troveemmo di fronte ad una grande svolta, ma un incoraggiamento – dettato magari dall’editore che ha pubblicato – a dire che alcuni hanno imboccato (già da tempo!) una determinata via. Alcuni passaggi sono stati salutati come innovativi, eppure se ne parla in morale già da tempo. Forse questo è solo indice del poter parlare con una maggiore rilassatezza; ma è qui che emergono le contraddizioni, perché dobbiamo poi parlare dei contesti operativi specifici. Non possiamo fermarci agli slogan – peraltro presenti anche nel TB – ma dobbiamo passare alla costruzione di una teoria morale generale ponendoci le domande corrette. Ad esempio: una norma nasce già con le eccezioni o ci sono eccezioni alle norme? Una ricognizione più ampia dell’atto morale cosa significa? E sgonfiare l’enfasi normativa? E inserire la norma nel processo decisionale della persona? Bisogna superare gli slogan e affondare il colpo per una teoria morale  generale su cui basare ogni altra riflessione. Un appunto al testo: sono presenti contributi non solo italiani; ma dove sono i contributi tedeschi? Forse in questo ambito non avrebbero potuto offrirci un di più? Forse ci avrebbero detto che ciò che ci sembra una novitas in realtà era solo un già detto?

Si è conclusa così questa intensa giornata di approfondimento; l’occasione è stata una grande possibilità di incontro per gli studiosi di morale siciliani; un incontro di idee e riflessioni che ha dato uno slancio e una carica per la ricerca futura a tutti i partecipanti. L’appuntamento con l’ATISM è adesso al seminario nazionale che si terrà a Verona dal 3 al 6 luglio per poter vivere ancora una volta una grande occasione di confronto e crescita per i moralisti italiani.

Filippo Arena

Laurea Magistrale in Scienze Religiose. Master in Bioetica. Docente di Religione. Cultore di Scienze Morali.

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