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Perché un manifesto? Per una chiave di lettura

È stato appena pubblicato (qui) un testo-manifesto ad opera dell’Associazione dei teologi moralisti italiani (ATISM) sul tema del tempo al tempo del Covid 19. Un testo, frutto di un lavoro corale e sinergico, a testimonianza della varietà e della vitalità di cui l’Associazione è caratterizzata. Il tentativo è apprezzabilissimo in quanto testimonia l’impegno di cosa significa essere teologi oggi. I vari punti concentrano una pletora tematica dalla quale ciascuno potrebbe contribuire con commenti, riflessioni, idee. Attorno ad un manifesto si coagulano sempre apprezzamenti e critiche. Di quest’ultime non ne ho, visto che tra le firme in calce c’è anche la mia; i primi li lascio ad altri, e spero che siano parecchi.

In questa sede, per quanto mi riguarda, vorrei solo aprire la danza delle parole provocando un po’. Parto da alcune domande prevedibilissime: un’altra ancora pubblicazione sul Covid? Non pensiamo di esagerare? Cosa c’è ancora da dire? Provo a rispondere immaginando pure che chi li formuli sia carico di una certa ironia, forse doppia, perchè non solo un ennesimo testo sul Covid, ma anche scritto da teologi. Comincio a farlo.

Tutto ciò è vero e proprio perché lo credo vero, sono più interessato ad evidenziare, insieme ai miei immaginari interlocutori carichi di ironia (che poi tanto immaginari non sono), la forza deformante dell’emergentismo e la necessità di una buona dose di sobrietà per contrastarla. Chi è avvezzo a frequentare come me, secondo la logica di un canone inverso, due canoni di letture – i libri della bibbia e le opere filosofiche dell’età ellenistica – impara che ciò che non è mai una novità sotto il sole è il fatto che ogni pezzetto di contingenza è attraversato da contraddizioni che spingono alla seria presa in carico della ‘parola penultima’ prima di orientarsi alla ‘parola ultima’. E allora gli eventi sono sempre gli stessi, ma non il modo in cui viverli. E niente tra questi eventi può far parlare di loro come se non ne conoscessimo la loro ‘evenienza’, la loro ‘emersione improvvisa’. 

Quanta retorica sul fatto che siamo tutti fragili, tutti malati, tutti mortali potrebbe essere neutralizzata al suo nascere! 

Provo a digitare su un qualsiasi motore di ricerca due parole: teologia e Covid. Tempo qualche secondo e come per magia (ma ormai sappiamo che non è magia ma tecnologia) si aprono tante pagine cliccando sulle quali veniamo a sapere di interviste a teologi (che magari hanno vissuto la malattia); di riflessioni a mo’ di soliloqui sul senso della pandemia; di articoli sul dopo la pandemia o per gestire la pandemia in rapporto alla vita di fede; di articoli che fanno da chiosa molto spesso a stralci interi di pagine di letteratura (si scomodano autori come Orwell e Asimov) per evidenziare nessi e rimandi di situazioni estremamente difficili che hanno segnato svolte epocali; di  discussioni e dibattiti che sanno di guerra tra poveri (ce l’avete presente in un salotto televisivo Brosio e don Livio contro Oddifreddi e Augias?); di discussioni e dibattiti che alzano più il livello (anche se non quello dello share) su questioni liturgiche (come celebrare, il senso della celebrazione in streaming, denunce su possibili abusi o rigurgiti di nostalgici da preconcilio, ecc…), su questioni giuridiche (in generale sul diritto della libertà religiosa e in particolare quali sono i diritti delle confessioni religiose, ecc…), su questioni teologico-fondamentali (si evoca un interrogativo: dov’è Dio? del quale non sembra si abbia la consapevolezza che certe domande andrebbero maneggiate con cura), su questioni etiche (il virus: l’uomo o il mondo ne è la causa?, la solidarietà, la morte, la fragilità, l’altro come fratello o come nemico, ecc…). ‘Dulcis in fundo’: si trovano e-book da titoli come quello di Fazzini: Dio in quarantena. La teologia al tempo del Covid 19. Ci sarebbe da capire – ma questo lo lascerei ad una riflessione che possa esserci in un tempo più disteso e distensivo – se tutto questo possa essere catalogato nel settore della pop theology oppure se ci sia qualcos’altro. Una cosa è certa: sì, caro interlocutore immaginario, tutti parlano di Covid e del tempo del Covid.

Cosa ci sarebbe ancora da aggiungere? Un manifesto?

Domanda sbagliata. Se vogliamo – credo – aggiungere qualcos’altro, dovremmo chiederci: cosa ora ci sarebbe da togliere? La teologia morale, quale riflessione che sta sulla soglia ed è abituata a gestire rapporti tra l’interno e l’esterno, a più livelli, da quello individuale a quello sociale, potrebbe offrire la sua arte della distinzione a servizio di questo scenario bulimico. 

Dopo un primo momento di agitazione comprensiva e di voglia di non rimanere né indietro né afasici, è il tempo di fermarsi e chiarire alcuni punti importanti, che dovrebbero offrire per sottrazione (mi si perdoni l’ossimoro) un contributo sul piano delle intenzioni programmatiche e di stile.

Forse fa questo il Manifesto?

Buona lettura.

Pietro Cognato

Vicepresidente Istituto di Studi Bioetici "S. Privitera"
Direttore Responsabile Rivista Bio-ethos
Docente di Teologia Morale e Bioetica - Pontificia Facoltà Teologica "San Giovanni Evangelista"

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