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Parlano di noi. Intervista al nostro presidente Salvino Leone su «Samaritanus Bonus».

Fresca di pubblicazione, segnaliamo l’intervista di Gabriella Oldano, giornalista pubblicista della redazione di Bioetica News Torino – rivista del Centro Cattolico di Bioetica di Torino – al nostro presidente Salvino Leone circa l’ultimo documento della Congregazione della Dottrina della Fede «Samaritanus Bonus» (di cui abbiamo trattato anche qui con due pezzi, uno sull’afflato pastorale e uno sull’argomentazione etica). Ringraziando i colleghi di Torino (qui potete consultare l’intervista e navigare tra i loro contenuti), riportiamo integralmente quanto scritto.


Fine vita e riflessioni sulla Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede «Samaritanus Bonus». Intervista a Salvino Leone

Salvino Leone. È medico specialista in Ostetricia e Ginecologia. Riveste la carica di Presidente dell’Istituto di Studi Bioetici «Salvatore Privitera» (1945-2004) presso la Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia in Palermo, dove insegna Teologia morale e Bioetica. È direttore del Master in Bioetica dello stesso Istituto e della rivista «Bio-ethos» da lui fondata nel 2007. Con Salvatore Privitera ha fondato e condiretto nel 1991 la rivista «Bioetica e Cultura». È presidente della Commissione Europea di Bioetica dei Fatebenefratelli e del Comitato Etico Palermo1. È Vicepresidente dell’ATISM (Associazione Teologica. Italiana per lo Studio della Morale). Tiene corsi di Bioetica all’Università degli Studi di Palermo.

Attivo conferenziere di Bioetica in Italia e a livello internazionale Salvino Leone  ha una pubblicistica sull’argomento di più di duecento titoli tra riviste italiane ed estere, monografie e collettanee. Tra le monografie più recenti, di quest’anno il manuale di Bioetica e Medical HumanitiesBioetica e Persona (Cittadella Editrice 2020, pp. 656) e, poi, tra i tanti scritti Il rinnovamento dell’etica sessuale  (EDB, 2017), Il confine e l’orizzonte (EDB 2015), La relazione medico-paziente per la salute della donna (CIC, 2015), Sessualità e persona (Dehoniane, 2012), Bioetica in pediatria scritto con Lo Giudice M. (Tecniche Nuove, 2012), Cellule staminali: aspetti scientifici e implicanze etiche (Cittadella, 2010), Accanimento terapeutico: cura, terapia o futilità (Cittadella, 2009).


Intervista al prof. Salvino Leone

D. È tra i più affermati bioeticisti nel panorama italiano. Ha pubblicato un corposo e articolato manuale di bioetica e “Medical Humanities”, «Bioetica e persona», edito da Cittadella Editrice, aggiornato alle questioni emergenti di attualità e con un orizzonte riflessivo al futuro presentando un nuovo statuto della medicina. Nelle seicento pagine, che scorrono in un linguaggio semplificato, ma mai riduttivo, della trattazione complessa della disciplina, fruibile come  testo di consultazione e di base, Lei, il solo Autore,  dà un inquadramento storico culturale nei diversi ambiti iniziando dai fondamenti e passando per la  bioetica prenatale, tanatologica, clinica, sanitaria, ambientale per finire con l’area medico-sociale. Ne analizza poi, mettendo in rilievo le problematiche, e approfondisce le prospettive religiose di matrice cattolica pertinenti ai vari argomenti.

In quanto esperto di temi bioetici, docente di Teologia morale e per la Sua professione medica,  quali sono le questioni più emergenti nel panorama italiano sul  fine vita?

R. È assolutamente centrale il problema relativo all’autonomia della scelta. È eticamente possibile un’autodeterminazione che si spinga fino al punto di rinunziare alla propria vita? Anche questo rientra nei diritti conseguenti al fondamentale (e da tutti condiviso) principio di autonomia? E, in secondo luogo così significa rinunziare alla propria vita? Dove si pone il confine tra rinunzia a mezzi non significativi per il prolungamento della propria esistenza e la vera e propria eutanasia? E, in un’ottica laica priva di connotati religiosi, perché questa dovrebbe essere eticamente illecita? Quale ruolo assume nel processo decisionale la qualità della vita? È possibile valutarla in termini oggettivi o è solo una grandezza soggettiva? A mio avviso sono queste le domande fondamentali sui quali si articola il dibattito etico. A queste se ne aggiungono poi altre da queste derivate.

D.  È stata presentata di recente  in Vaticano la Lettera «Samaritanus Bonus» della Congregazione per la Dottrina della Fede, pubblicata  il 14 luglio scorso. Ideata nel 2018 durante l’assemblea plenaria della medesima Congregazione, riprende le fonti documentali del Magistero, della Santa Sede e della Nuova Carta degli Operatori Sanitari (2016).  Vi si pone con chiarezza la voce della Chiesa cattolica in una prospettiva teologica, antropologica e medico-ospedaliera, con l’intento, come ha spiegato il prefetto Cardinale Luis Ladaria Ferrer, S.I.,  riguardo alla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita  «opportuno e necessario in relazione alla situazione odierna, caratterizzata da un contesto legislativo civile internazionale sempre più permissivo a proposito dell’eutanasia, del suicidio assistito e delle disposizioni sul fine vita».

Quali sono i principi etici esplicitati nella “Lettera”  per i quali l’eutanasia e il suicidio assistito sono ritenuti dalla stessa Chiesa  illegittimi sotto il profilo giuridico avendo cura di descriverci le diverse situazioni?  

R. Bisogna precisare innanzitutto, come lei faceva cenno nella domanda, che il testo riprende altre fonti documentali (fatta eccezione per la Carta degli Operatori Sanitari che non è un testo del Magistero ma un compendio dei suoi insegnamenti).  In modo particolare il testo riprende il documento Iura et Bona pubblicato dalla Congregazione per la dottrina della Fede nel 1980 pienamente illuminante ed esaustivo che, di per sé, non necessiterebbe alcuna ulteriore rivisitazione. Basta applicarlo! Si parla di eutanasia, di accanimento terapeutico, di direttive anticipate, del ruolo del paziente, dei medici e dei familiari. Insomma c’è già tutto e non capisco perché vi sia necessità di ribadire quanto già a suo tempo limpidamente esposto dalla stessa Congregazione.

Indubbiamente può ritenersi nuovo, come ha detto il prefetto della Congregazione nella presentazione del documento, il contesto socio-politico in cui oggi i temi del fine vita si collocano. Oggi i problemi non sono tanto quelli di inizio ma di fine vita.

La sua domanda, inoltre, rivela anche le modalità di ricezione con cui il documento è stato accolto concentrandosi, come sempre, sugli aspetti per così dire “proibitivi” del testo. È una deformazione che ci portiamo dietro da più di 2000 anni. Prima riguardava solo l’immagine di Dio, soprattutto nell’Antico Testamento, poi si è trasferita a quella della Chiesa. Di fatto la Chiesa è vista oggi come la grande agenzia morale, oscurantista che proibisce, condanna e mette paletti. Nonostante i grandi sforzi che sta compiendo papa Francesco per superare tutto questo (venendo criticato anche e soprattutto all’interno della Chiesa) non ci si riesce a scollare di dosso questo pregiudizio. All’indomani della pubblicazione del documento tutti i siti reperibili su Internet titolavano sulla condanna dell’eutanasia quando il testo parla molto di più di tante altre cose con più apertura e ricchezza.

Per tornare alla sua domanda, in merito ad eutanasia e suicidio assistito, il documento ribadisce i principi etici che la Chiesa ha sempre proposto cioè il diritto alla vita che non è mai assoluto ma fondamentale. Non dimentichiamo le tante situazioni in cui tale diritto è subordinato ad altri come quelli del bene spirituale (nel caso del martirio) o della tutela della propria incolumità (nella legittima difesa) o della difesa della vita altrui (nella legittima esposizione al rischio di alcune attività). La domanda da porsi allora è quella di chiedersi se le motivazioni che possono indurre all’eutanasia possano rientrare in tali “eccezioni” se così possiamo definirle. Il problema diventa ancora più complesso se si considerano le antropologie di riferimento. In quella cristiana, infatti, la vita si considera appartenente a Dio e, quindi, inalienabile perché, in qualche modo, sua proprietà data in affidamento all’uomo. Ma in una prospettiva laica o, per meglio dire, laicista? Quali argomentazioni forti e imperative vi sono per condannare tutto questo? Indubbiamente su questo punto, forse, il documento poteva essere più arricchente. Se si pone come un documento nato per confrontarsi con le legislazioni che si vanno diffondendo, una dialettica col pensiero non cristiano andava maggiormente articolata se non si vuole ricadere nel relativismo di chi ritiene che i cristiani/cattolici la pensano in un modo e i non cristiani in un altro. Ma allora non vi sarebbe motivo per esigere una universalizzazione dei principi cristiani come è (giusta) pretesa del documento.

D. Perché è dominante il pensiero di una “libertà di scelta” di dare (eutanasia) o darsi la morte (suicidio medicalmente assistito)? Quali ostacoli le cure palliative incontrano nel diffondersi se, come afferma la “Lettera”  «l’esperienza insegna che l’applicazione delle cure palliative diminuisce drasticamente il numero di persone che richiedono l’eutanasia»  e ne suggerisce addirittura  l’utilizzo come  «approccio integrato di cura in relazione a qualsiasi patologia cronica e/o degenerativa, che possa avere una prognosi complessa, dolorosa e infausta per il paziente e la sua famiglia»? La “Lettera”, tuttavia, pone  dei paletti sul piano delle cure palliative riguardo ad un certo agire ambiguo che si trova in linee – guida scientifiche nazionali e internazionali.

R. Gli ostacoli sono di natura “culturale”. Purtroppo il termine “palliativo” ha aggettivato fin dal suo apparire un provvedimento non risolutivo ma solo lenitivo, in modesta misura, di ciò che non poteva essere superato in altro modo. In un certo senso quello che si poteva fare quando non c’era più niente da fare. In realtà (e nel mondo anglosassone, per ragioni storico-linguistiche) non è stato così, le cure palliative sono esattamente “quello che c’è da fare” in queste situazioni. Costituiscono la cura appropriata in quella situazione clinica ed esistenziale. Le cure palliative, infatti, non si occupano solo di rimediare alle diverse patologie da cui può essere affetta una persona nella fase terminale della sua malattia ma si occupano globalmente della sua persona, del suo benessere psicologico, relazionale, spirituale. Forse è un po’ drastico affermare che sono l’antidoto per l’eutanasia ma, certamente, contribuiscono a non far sentire solo e sofferente il malato potendo così distogliere il suo pensiero da tentazioni eutanasiche.

Quanto ai “paletti” di cui parla, anche se il documento li cita riportando una distorsione che, a volte, il concetto di cura palliativa subisce, non so se era il caso di parlarne in modo così tematico. Come dicevo le cure palliative sono spesso trascurate o poco valorizzate non solo e non tanto da pazienti e familiari quanto dai medici. Inculcare, sia pure indirettamente, questa sorta di sfiducia (anche se il testo è, di per sé, assolutamente favorevole alla stesse) poteva non essere del tutto opportuno.

D. Nella fase terminale di una malattia il conforto di un ascolto, una presenza che sa essere anche silenziosa ma compassionevole, un accompagnamento spirituale allevia la sofferenza, la solitudine, la paura della morte, aiuta a dare un senso alla propria esistenza e al morire attorno al paziente, adulto o piccolo, e ai suoi familiari. Il ruolo della Pastorale e l’osservanza al rispetto dei sacramenti in tema di eutanasia e suicidio assistito.

R. Sotto questo punto di vista il documento è particolarmente felice e, a mio avviso, aggiunge realmente qualcosa rispetto alla produzione magisteriale precedente. Forse quest’accompagnamento alla morte è stato un po’ trascurato negli ultimi tempi. Preoccupati ossessivamente delle questioni etiche si è trascurato che il terreno su cui germina la richiesta di eutanasia e di suicidio assistito è la solitudine del morente, i suoi perché, il non-senso che manifesta il suo soffrire. Più che una richiesta di morte l’eutanasia è una richiesta di senso. Allora ben venga una riscoperta di questa dimensione, di per sé pastorale ma con una importante ricaduta etica. Forse la stampa avrebbe dovuto cogliere maggiormente questo aspetto come sta facendo lei con questa appropriata domanda.

D.  In Parlamento si sta discutendo di alcuni progetti di legge sull’aiuto al suicidio medicalizzato ed è nota quanto il pronunciamento della Consulta Costituzionale 242/2019 sull’aiuto al suicidio assistito abbia sollevato un dibattito assai acceso sulla mancanza di una legge sul fine vita. Dinanzi al manifestarsi di un’autodeterminazione volta ad un atto di richiesta eutanasica o di suicidio medicalmente assistito il medico o l’operatore sanitario cattolici potranno esercitare l’obiezione di coscienza?

R. Certamente vi sarà una rivendicazione da parte del mondo cattolico in merito all’obiezione di coscienza. Anche in questo senso occorre fare una precisazione. Indubbiamente l’obiezione di coscienza aiuta chi la dichiara a non sentirsi in colpa, a non sentirsi obbligato a compiere qualcosa che contrasta con i suoi più profondi convincimenti morali. Sotto questo punto di vista sarà certamente appropriata ed opportuna. Ma realizza davvero “il bene” del paziente? Il problema è quello di sentirsi la coscienza a posto o di far comprendere al malato la bontà o negatività morale di quello che vorrebbe compiere. Lo abbiamo già visto con la legge sull’aborto. L’aver incluso nell’obiezione di coscienza anche la redazione del famoso “certificato” ha comportato di fatto l’esclusione dei medici obiettori dalla possibilità di colloquio preliminare con la donna, almeno in sedi istituzionali. Mi auguro, pertanto, che se sarà prevista l’obiezione di coscienza questa non pregiudichi l’approccio dei medici obiettori col paziente nella fase decisionale che potrebbe preludere all’eutanasia.

D. Concludendo, Prof. Salvino Leone quali orizzonti intravede per la bioetica futura e  quale rispetto della persona nella cultura bioetica?

R. Non mi piace essere profeta di sventure e non “pensare positivo” come si usa dire oggi ma confesso che il futuro (ma già il presente su cui si radica) non è roseo. Il dibattito, la formazione, la crescita del sentire bioetico si è profondamente arenato. Tutto è stato confinato alla bio-giuridica che, pur se importante, non esprime la totalità e complessità della bioetica. Bene o male tutto ricade sulla legge come giustamente chiedeva nella sua domanda precedente. Ma non dimentichiamo, parafrasando San Paolo, che “la legge non giustifica” o, se vogliamo usare un antico aforisma latino, qualcosa non è iustum quia iussum ma, esattamente al contrario, iussum quia iustum. La legge non assorbe ed esprime la totalità dell’universo etico per vari motivi: intanto non è detto che sia una buona legge. Ricordo quando fu promulgata la legge 194 sull’interruzione della gravidanza che una signora mi disse: «tanto adesso l’aborto si può fare». Aveva ragione ma aveva anche torto e l’ambiguità semantica della frase ne era una spia evidente: si può fare dal punto di vista giuridico, non si può fare dal punto di vista etico. Ma poi la legge non garantisce la sua osservanza: vi sono leggi che puniscono furti e omicidi ma questi continuano ad esserci. Inoltre è totalmente soddisfatta dalla sua osservanza: alla legge interessa che io non uccida, se non lo faccio non sono colpevole. All’etica interessa anche che io non voglia uccidere, perché già il volerlo fare non è lecito.

Il rispetto della persona è al centro di tutta la riflessione bio-etica. Se questa riguarda il bene da compiere e il male da evitare nelle questioni che riguardano la vita e la salute dell’individuo potremmo dire in un solo concetto che è bene tutto ciò che tutela e promuove la persona mentre è male tutto ciò che non la rispetta. L’essenza del sentire e dell’agire bioetico è tutto qui.

Filippo Arena

Laurea Magistrale in Scienze Religiose. Master in Bioetica. Docente di Religione. Cultore di Scienze Morali.

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