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Homo homini virus

La pandemia oltre ad essere stata, e ad essere, un momento delicato nella storia dell’umanità, è anche un utile strumento che ci ha consegnato qualcosa di molto prezioso: il tempo. Un tempo, gravido di sofferenze e preoccupazioni, che ha permesso all’intera umanità di arrestare la sua irrefrenabile corsa verso un telos non meglio identificato; un tempo di reclusione in un lockdown che ha coinvolto l’uomo tout court, non soltanto nella chiusura verso il mondo circostante, ma anche, e soprattutto, nella chiusura in sé. Un lockdown interiore dunque che ha donato il prezioso dono del tempo come piattaforma sulla quale soffermarsi per poter riflettere sulla fragilità dell’esistenza umana. Una fragilità di cui, per riprendere le parole del Manifesto etico dell’ATISM (Associazione teologica Italiana per lo Studio della Morale), dobbiamo far tesoro. Ma come è possibile far tesoro di qualcosa che ha inevitabilmente sconvolto la quotidianità dell’esistenza umana? È possibile rintracciare un valore in una fragilità che con tanta fatica l’uomo ha tentato di nascondere negli ultimi tempi? Come può l’uomo riprendersi adesso dalla “brutta figura” di non essere riuscito a mostrarsi onnipotente? Questa presunta onnipotenza, piuttosto, è stata fagocitata crudelmente da un nemico invisibile. Un virus ha messo in scacco il moderno “superuomo” che aveva fatto della supremazia sul creato il proprio vessillo. Il Covid-19 ha reso l’uomo, figlio di una cultura individualista che trasuda da tutti i pori, realmente impotente! E lo ha fatto smascherando proprio le terribili conseguenze di una cultura che gli appartiene ormai in modo viscerale.

Da tempo ormai l’uomo ha imboccato irrimediabilmente una strada che, negli ultimi secoli, lo ha condotto verso una forma di individualismo tanto assoluto da apparire ideologico. Un individualismo che si è nutrito di secoli di pensiero filosofico (basti pensare a Locke o a Rosseau) e che ha trovato terreno fertile nel moderno principio di autonomia, pensato nel suo senso forte. L’antropologia che ne è scaturita evidentemente è la risultante di questo processo culturale. Parafrasando Aristotele, l’uomo ha capito di poter essere un dio, o forse una belva. Difatti se, nella sua struttura ontologica, l’uomo, secondo lo Stagirita, è incapace di vivere solo, anzi esso è in qualche modo costretto alla relazione, poiché è fondamentalmente un animale sociale, oggi questo assunto è stato completamente rovesciato. L’uomo non solo non ha più bisogno dell’altro, anzi, in taluni casi, l’altro è considerato quell’ “inferno”, di sartriana memoria, il cui semplice sguardo mi paralizza. Altro che relazione dunque, l’uomo contemporaneo è stato chiamato a vivere nel più totale individualismo dove la società ha smesso di essere spazio di condivisione, fino ad assurgere un ruolo assolutamente marginale quale sfondo della mia libertà di soggetto agente. L’individuo che nella società trovava un equilibrio fra i propri bisogni e quelli altrui, ora utilizza la società per raggiungere i propri obiettivi, a scapito anche degli obiettivi altrui. È la logica concorrenziale che si cela dietro l’egoistico, quanto atavico, motto: homo homini lupus.

La condizione conflittuale dell’uomo contemporaneo, per tempo taciuta o negata, oggi torna ad emergere con virulenza e in modo inaspettato anche grazie alla tristemente nota pandemia. Il coronavirus, infatti, ha smascherato la falsa ipocrisia antropologica dell’individualismo mettendone in risalto proprio gli aspetti peggiori. Il Covid-19 ha ottenuto un risultato quanto mai inatteso: ha esasperato quell’individualismo fino a renderlo incondizionato. L’uomo ha svelato la sua natura profondamente egoistica. Il distanziamento sociale ha fatto il gioco sporco della cultura individualista, producendo una ferita nelle relazioni intersoggettive che difficilmente potrà sanarsi. Se è fuori di dubbio la necessità dell’imposizione del distanziamento sociale per evitare di contrarre il virus, allo stesso tempo bisogna affermare che un altro virus, forse più subdolo, si è insinuato nelle relazioni umane: homo homini virus, ecco la nuova categoria antropologica chiamata in causa dalla pandemia. L’uomo è virus per l’altro uomo. Insorge infatti la paura dell’altro, poiché portatore, più o meno consapevole, del virus.  A titolo puramente esemplificativo, basterà ricordare la caccia all’untore che ha caratterizzato a fasi alterne lo sviluppo della pandemia, o ancora più iconicamente la caccia al furbetto dello jogging, o perché no, l’inseguimento aereo, a favore di telecamere, dell’irresponsabile e disubbidiente al mare. Insomma si potrebbe snocciolare una casistica molto articolata. Sarà sufficiente, tuttavia, mostrare come la paura dell’altro ha raggiunto il suo apice. Quanto detto fin qui si amplifica se si pensa a tutte quelle persone che già vivono ai margini della società, quasi come uno scarto, e che la situazione ha reso ancora più ultimi. Neppure la morte è riuscita ad annientare il virus dell’individualismo, anzi abbiamo dovuto assistere ad una triste e silenziosa morte nella più totale solitudine.

Sembrerebbe essere giunti alle soglie della definitiva sconfitta di una concezione antropologica fondata sulla relazione in favore di una disumanizzazione dilagante. Tuttavia, a mio modesto parere, la lezione del virus ha ridato senso al significato più profondo della relazione. È proprio vero: si sente la mancanza di qualcosa solo quando questa non c’è più. Il virus ha mostrato il volto più egoistico dell’uomo, ma allo stesso tempo ha dotato lo stesso di anticorpi capaci quantomeno di leggere con occhi nuovi la realtà che ci circonda. E laddove sembrava avesse trionfato un individualismo esasperato è fiorita una speranza, un desiderio dell’altro che si è manifestato sotto molteplici aspetti: dalla cura verso i più esposti alla pandemia allo spasmodico tentativo di incrociare lo sguardo dell’altro, anche attraverso una tecnologia il cui uso sbagliato in passato ha prodotto una distanza fra gli uomini, uno sguardo che non pietrifica e non paralizza più, ma che tende una mano per affrontare insieme le sfide che il futuro del post-Covid-19 inevitabilmente ci presenterà.

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