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E se imparassimo ad ascoltare il Papa?

Dopo un lunghissimo periodo di panchina, finalmente le parole del Papa sulla questione delle unioni civili ci hanno dato la possibilità di scendere nuovamente in campo. Gli schieramenti sono formati e le squadre sono costituite, più che da giocatori, da veri e propri tifosi da stadio. Ne abbiamo sentito la mancanza, ma i tempi erano maturi perché il Papa scatenasse, ancora una volta, l’“inferno”. Così come evidenziato da Filippo Arena nell’articolo precedente di questa sezione, si affrontano a singolar tenzone due schieramenti che si contendono, senza esclusione di colpi, l’interpretazione corretta da dare alle parole del Papa pronunciate nella ormai celebre intervista ripresa nel documentario Francesco del regista Evgeny Afineevsky, circa la necessità di offrire tutela legale alle unioni civili e la constatazione che ogni omosessuale ha diritto a vivere in una famiglia. 

Da una parte i “negazionisti”, che nulla hanno da invidiare ai “no mask”, che sostengono l’impossibilità che quelle parole siano state pronunciate direttamente dal Papa, o che al massimo sono disposti a credere che sebbene il Papa abbia pronunciato quelle parole, tuttavia queste sono state o travisate, o volutamente mistificate. Dall’altra parte lo schieramento è composto da coloro che hanno gridato al miracolo: dopo secoli, anzi millenni, di oscurantismo, finalmente la Chiesa, nella persona della sua guida, si apre al matrimonio fra omosessuali; anzi, secondo alcune testate giornalistiche, finalmente la Chiesa ascolta le rivendicazioni delle associazioni LGBT. La posizione di questi ultimi nasce da un’interpretazione “quasi” letterale delle parole pronunciate dal Papa, un’interpretazione che, in barba all’esegesi storico-critica, fa concorrenza all’interpretazione letterale della Sacra Scrittura operata dei fondamentalisti biblici.

Tutta la partita si gioca su questo campo, sul terreno, ostico e impervio, dell’interpretazione. Al di fuori della metafora sportiva, tuttavia il duello è reale: basti pensare che la notizia della presunta apertura di Francesco alle unioni omosessuali ha soppiantato per qualche ora le notizie riguardanti la pandemia e il suo triste sviluppo. Al di là della facile ironia è necessario, a mio avviso, non sottovalutare questa contrapposizione che ciclicamente riaffiora. Senza voler giudicare nessuno e, piuttosto, nell’ottica di una maggiore comprensione di ciò che accade ogni qualvolta il Papa si espone su questioni delicate – magari inerenti le annose problematiche legate alla morale sessuale che rappresentano indubbiamente, e forse in modo non del tutto giustificato, uno dei problemi che suscita una vivace discussione – ritengo che sia necessario individuare i componenti di queste opposte fazioni, senza per questo voler minimizzare o sminuire una questione di per sé complessa. 

Le posizioni sono ormai classiche così come classici sono gli argomenti dei partiti che si confrontano. Da una parte i conservatori, ossia coloro che rimangono ancorati a delle argomentazioni di tipo deontologico estrapolate dalla Sacra Scrittura e dal Magistero. Nel caso di specie, il Magistero e la dottrina cattolica sono chiarissimi: gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati (CCC 2357)! Ciò basta per non credere alle parole di Francesco o perlomeno per credere che queste parole siano state volutamente travisate o debitamente manipolate da una lobby omosessualista non meglio specificata. La “fede” nel Magistero, qui, spesso tende ad essere assoluta e in taluni casi pensa di poter fare a meno persino della ragione. Eppure, era stato proprio Giovanni Paolo II a mettere in guardia dall’uso sbilanciato di queste due componenti che non possono che muoversi sulla stessa lunghezza d’onda. 

Ben più articolata al suo interno è la componente di coloro che non hanno alcun timore di smentita e che dando sfogo alle emozioni più recondite esultano ogni qualvolta tale rigorismo dottrinale sembra essere messo in scacco. Del resto è proprio ciò che è accaduto alla pubblicazione della notizia di una presunta apertura di Francesco alle unioni omosessuali, notizia ripresa da tutte le testate giornalistiche, persino da quelle più vicine alla Curia romana. Qui è pressoché impossibile determinare da chi è composta questa fazione.

Al suo interno, infatti, emergono diverse componenti, che vanno dai cosiddetti “catto-progressisti” alle più disparate associazioni laiciste (sarebbe interessante approfondire questo aspetto: spesso la parola viene presa proprio da coloro che non lesinano alcuna critica alla Chiesa). Nella questione presa in esame è stato possibile leggere le parole del Pontefice come un traguardo storico in netta contrapposizione proprio a quella morale stantia propugnata dalla Chiesa. Il gioco ovviamente è quello di contrapporre il Papa a quella Chiesa di cui lui è il capo, mostrando e dimostrando un’antinomia fra le parti. Non è possibile, tuttavia, mettere in discussione la buona fede di chi sbandiera queste parole quasi fossero un vessillo di una rinnovata “speranza” per un futuro migliore.

Fin qui i due opposti schieramenti. Al centro, quasi fosse arbitro della partita stessa, la realtà del discorso di Francesco nella sua schiettezza oltre che nella sua profondità profetica (è possibile leggere qui il discorso del Papa). Si potrebbe obiettare a lungo sull’ingenuità o sulla poca prudenza del Pontefice – è innegabile che le parole del Papa abbiano un peso specifico diverso rispetto alle parole di chiunque altro – ma, allo stesso tempo, non si può fare a meno di notare che, nella sua semplicità, il discorso di Francesco scandalizza chi per “fede” rimane ancorato alla dottrina e mette sull’attenti chi ha puntato sulla “speranza” di un futuro migliore.

Tuttavia nella lotta fra la fede e la speranza ne esce vittoriosa la carità. Quella carità e delicatezza con cui Francesco ha deciso di segnare il suo pontificato, non lasciando indietro nessuno ma facendo sentire a tutti l’amore materno di una Chiesa che diventa ogni giorno più esperta nell’accoglienza. Lo stesso San Paolo (1 Cor 13,1-13) si affretterebbe a ricordarci che fra le tre virtù rimarrà solo la carità; e allora non possiamo che sobbarcarci del rischio di ascoltare nella sua sconcertante nudità e semplicità il discorso di Papa Francesco.

Se solo riuscissimo a non deviare verso uno dei due schieramenti, potremmo ascoltare veramente ciò che, senza alcun dubbio e senza alcuna mistificazione, il Pontefice ha voluto realmente comunicare al mondo intero. Per quanto siano persistenti e insistenti i tentativi di addomesticare le parole di Francesco, non possiamo esimerci dal compito di prendere sul serio ciò che ha detto. Nessuna dottrina sconvolgente che mette in crisi l’intero sistema dottrinale indubbiamente, ma un discorso che va al cuore di una questione che incide profondamente sulla vita, già fragile, di tante persone. 

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